L’ultima notte
I.I Il giorno dell’omicidio
L’uomo atterrato all’aeroporto di Fiumicino si trovava nascosto da quasi tre ore all’interno della Basilica di San Pietro.
Il volo DH78932 partito da Berlino alle 12:30 era atterrato in orario.Non era stato facile. Aveva avuto poco tempo per pianificare. Dapprima si era immaginato di potersi muovere all’interno della Basilica di San Pietro e trovare riparo, al momento della chiusura, nella cappella di S. Andrea. Analizzando la planimetria, se fosse riuscito a sviare il primo passaggio di controllo, non lo avrebbero più notato. L’attenzione delle guardie e del servizio di sicurezza si basava principalmente sulla verifica di chi faceva ingresso nella Basilica. Controllavano le persone che volevano entrare, non quelle che non dovevano uscire. Fino al momento dell’arrivo in aeroporto era convinto che ci sarebbe riuscito. Era un lunedì di metà febbraio e quando arrivò in piazza San Pietro si rese conto che non ce l’avrebbe fatta. La piazza era semideserta: sotto il colonnato del Bernini vi erano meno di cinquanta persone in attesa di entrare. Non aveva alternative, doveva tornare all’ipotesi originaria, al piano A scartato in precedenza. L’ingresso dalla Basilica era molto più sicuro di quanto aveva previsto per quanto riguardava la prima parte del piano, ma sarebbe poi stato difficile spostarsi una volta arrivato il momento di agire. I musei vaticani si sviluppano per oltre quarantamila metri quadrati. Era il luogo ideale per potersi nascondere. Non aveva alcuna intenzione di fermarsi all’interno fino all’orario di chiusura: sarebbe stato più facile, ma dopo non avrebbe più potuto muoversi in alcun modo per via dei sofisticati allarmi inseriti. Aveva scelto una panchina dietro una folta siepe, su cui rimanere seduto il tempo necessario. Si trovava nella porzione dei giardini aperti al pubblico, tra l’ingresso della sala delle carrozze e la porta di Santa Marta. Sarebbe entrato da lì. I musei chiudevano quindici minuti prima rispetto all’orario di visita riservato al pubblico della Basilica. Si spostò all’interno della siepe, cercando di non fare rumore. In quel momento non c’era nessuno in quella zona. I visitatori erano intenti ad ammirare le ultime opere presenti nelle zone più prossime all’uscita. Vide passare gli agenti del servizio di sicurezza, era l’ora. Calcolò ancora un paio di minuti, poi uscì deciso dal riparo improvvisato e si avviò verso il varco. La porta era ancora aperta. Dall’ingresso di Santa Marta poteva soltanto avanzare verso la Basilica. Il corridoio arrivava a una scala, prima di immettersi all’interno della navata, tra il sarcofago di Pio VIII e quello di Urbano VI.
Era arrivato nel punto in cui poteva entrare in Basilica o prendere le scale. Non ebbe modo di scegliere: udì dei passi sopra di lui. Si spostò nell’ombra, posizionato controluce rispetto alle applique che illuminavano la scala. Il rumore dei passi si faceva più vivo, proveniva dalla rampa superiore. Non capiva in quanti fossero. Se fosse stato un uomo solo, attento e con lo sguardo rivolto al circostante, lo avrebbe visto di sicuro. I passi ancora più vicini, li vide. Erano in due. Da quella distanza poteva sentirne anche le voci, parlavano fitto. Erano a meno di dieci metri, ma capì che era comunque la miglior situazione che poteva pescare dal mazzo delle probabilità. Non guardavano avanti, avevano il viso rivolto a metà strada tra il traguardo dei loro passi e i loro rispettivi volti. Attese che fossero ancora più vicini, poi trattenne il fiato, chiuse gli occhi e rimase immobile. Riuscì a sentirne anche il respiro. Gli passarono a meno di un metro, ma non lo videro. Sapeva essere onesto con se stesso: non era stato bravo, non era stato scaltro, era stato solo fortunato. I due avevano voltato a sinistra, verso la Basilica. Mentre scendevano le scale, aveva potuto notare l’abito formale e un leggero rigonfiamento sulla parte destra del corpo.
Senza dubbio erano della squadra di sicurezza che si occupava della ronda subito dopo la chiusura al pubblico della Basilica.
Uscendo dal varco di Santa Marta, l’avrebbero percorsa in senso orario. A partire dalla Cappella Clementina, sarebbero arrivati fin sotto la tribuna e avrebbero percorso il Transetto Settentrionale fino alla Cappella Gregoriana. A quel punto avrebbero controllato i due accessi alle Cripte e dividendosi, avrebbero percorso la navata centrale e la zona degli Altari funebri fino alla Pietà. Si sarebbero riuniti nell’atrio e sarebbero risaliti dalla Cappella del Battesimo, fino alla Cappella del Coro. Successivamente avrebbero voltato a sinistra verso il varco di Santa Marta e risalito le scale fino alla guardiola di controllo. Attese cinque minuti, poi si mosse. Prese la stessa direzione dei due. In quel momento, secondo i suoi calcoli, dovevano trovarsi all’altezza della tribuna, sotto la cupola. Fece un primo movimento sporgendo solo la testa verso l’interno della Basilica. I due non si vedevano. Ed era ciò che voleva. Lui non vedeva loro, loro non avrebbero visto lui. Delle telecamere non si preoccupava, non voleva essere fermato, non gli interessava non essere ripreso. Da quella posizione aveva la possibilità di spostarsi nella Cappella che ospitava il monumento funebre a Pio VIII, avendo in linea di protezione l’Altare della Bugia e il Baldacchino del Bernini. Non lo avrebbero visto. Si mosse rapido, facendo attenzione a non strisciare i piedi sul marmo lucido. Si accovacciò tra una colonna e la base del monumento. Se anche fosse passato qualcuno, avrebbero potuto vederlo solo andando dietro la colonna. Impossibile. Nessuna telecamera poteva inquadrarlo in diretta. Si trovava in quella posizione da quasi tre ore. Aveva ripensato a come vi era arrivato, ma soprattutto aveva pensato al delicato piano di fuga.Guardò ancora una volta la foto del suo obbiettivo. Mancavano pochi minuti. Allungò lento una gamba verso l’esterno della colonna, poi il braccio destro, infine rimase quasi a carponi, cercando di alleviare il formicolio che lo aveva accompagnato nelle ultime ore. Sentì i passi in lontananza, gli parve la direzione da cui si doveva aspettare l’arrivo dell’uomo. Dalla propria posizione non riusciva a vedere nulla, non poteva sporgersi.
Doveva sfruttare l’udito e calcolare i tempi. Avrebbe dovuto muoversi non appena l’obiettivo avesse svoltato verso il varco che portava alle scale, ma doveva intercettarlo prima che potesse iniziare a salirle. Quei dieci, quindici secondi al massimo, erano quelli in cui i due che sorvegliavano le immagini in diretta, una volta riconosciuta la personalità, sarebbero andati ad accoglierlo in cima alle scale. Tra la svolta a sinistra e la prima rampa di scale. Dieci, quindici secondi. Forse venti. Era da solo e, nonostante il silenzio totale all’interno della Basilica, ne percepiva l’avvicinamento. I passi erano leggeri e costanti. Doveva essere a meno di venti metri. Sporse ancora la testa appena verso l’esterno. Sfruttò al massimo la vista periferica e lo vide, per un attimo. Una sfumatura, sfuocata. Aveva voltato verso il varco. Si mosse rapido, fulmineo. La mano destra a cercare equilibrio, la sinistra in tasca. Non poteva parlare, non poteva chiamarlo per farlo girare. Da quella posizione non poteva riconoscerlo. Era a meno di cinque metri. Ne mancavano almeno dieci all’obbiettivo, per arrivare alla scala. Non poteva parlare. Delle immagini registrate, al momento, non gli importava nulla. L’audio però sarebbe stato un problema. Aumentò il passo, era a un metro, allungò un braccio e lo sfiorò sulla spalla sinistra. Si fermò all’istante quando percepì che quel tocco leggero era stato sufficiente a far sentire una presenza alle spalle dell’obbiettivo. L’uomo che aveva davanti si voltò di scatto. Meno di un secondo, il volto trasfigurò in un’espressione di incredulità, terrore. L’urlo fu istintivo, primordiale. Quei pochi istanti gli bastarono per riconoscere l’obiettivo. Il coltello a scatto era già saldo nella mano sinistra. Lo sfilò con un gesto rapido e colpì. Aveva puntato al centro del collo. Un colpo sicuro e deciso che nonostante la freddezza negli intenti non andò a segno nel modo giusto. La parabola di rotazione era stata poco precisa. Lo ferì tra la mandibola e l’orecchio destro. Un secondo grido, stridulo, di puro dolore. Adesso aveva pochi secondi, meno di dieci. I due della sorveglianza erano di base due piani sopra. Al primo grido, avrebbero scorso le telecamere e una volta individuata la scena, avrebbero compiuto due azioni: portare la mano sul tasto della radio per dare l’allarme e poi correre verso il piano terra.
L’uomo che era rimasto nascosto per oltre tre ore, immobile, aveva sbagliato il primo colpo. Le articolazioni erano bloccate, poco reattive. L’obiettivo era a terra, la mano a cercare la ferita. Lui gli arrivò davanti, lo guardò negli occhi per meno di un secondo, si chinò. Il taglio alla gola fu netto e inesorabile.
Si voltò che era ancora in vita. Quando varcò la porta di Santa Teresa, l’obbiettivo esalò l’ultimo respiro.
Aggiungi commento
Commenti